Pedro Almodóvar

Uno dei più importanti ed acclamati cineasti spagnoli. Di fama internazionale, considerato da molti l’erede di Luis Buñuel, questo “enfant terrible” iberico, ha saputo nell’arco di quarant’anni di carriera, raccontare la vita con tutte le sfumature delle sue assurdità, venandole di una corrosione e di una provocazione tali da scendere in aspetti tragici o comici (la cui distinzione è labile e fuggevole, perfino allo spettatore). Le sue sceneggiature sono originali, ritmiche e piene d’invenzioni, mentre la sua direzione è tale da creare a ogni pellicola una famiglia d’attori (piuttosto che un cast), riuscendo comunque a dirigerli in un preciso universo poetico. Il cinema di Almodovar è quello di qualcuno che ama la sua vita, una sarabanda grottesca divertita e feroce.

Il suo cinema è scatenato, trasgressivo, imperdibile, sensuale: un mix di emozioni che si insinuano in ogni sequenza, in ogni carrellata, in ogni primo piano e solo per raccontare la vita nella sua provocazione più spinta, nelle passioni più sfrenate e nell’esaltazione dei sensi. Le sceneggiature sono solari, travolgenti, eccezionali, mettono a nudo la mediterraneità, il calore e l’ironia di una Spagna che per troppo tempo è stata artisticamente repressa e che ora esplode nei suoi impulsi più perversi, nelle sue pulsioni più segrete, in tutte le sue nevrosi e debolezze. In una sola parola tutto il suo cinema è magistrale. E così tutti i suoi graffi, tutti i suoi istinti non passano certo inosservati.

Nato a Calzada de Calatrava nel 1949, un piccolo paese della poverissima La Mancha, all’età di otto anni emigra con la famiglia a Estremadura. A dieci anni, entra in una scuola cattolica dove assisterà agli abusi dei salesiani sui suoi compagni di studio. Lo shock dell’esperienza lo allontanerà dalla Chiesa e dall’idea di proseguire la sua istruzione. Nel 1968 arriva a Madrid in cerca di fortuna e diventa un ambulante nel mercato per le pulci di El Rastro. Autodidatta (Almodovar non ha mai studiato cinema perché la sua famiglia era troppo povera per permettersi un’istruzione del genere), ha subito la dittatura di Franco che comportò la chiusura delle scuole di cinema all’inizio degli anni Settanta.
Dopo essere stato un ambulante, eccolo centralinista per dodici lunghi anni in una compagnia telefonica e, con i risparmi dei suoi stipendi, compra finalmente una cinepresa Super 8 con la quale dirige il suo primo lungometraggio dal titolo Folle…Folle…Folleme…Tim (1978), da lui stesso interpretato insieme a quella che sarà poi una delle sue attrici preferite, Carmen Maura

“Nel curriculum di un artista creativo viene sempre riportato qualche fatto traumatico. Naturalmente anch’io ne ho avuti. Uno di questi è l’aver lavorato per dieci anni nel sottosuolo del PTT (Poste e Telefoni).”

Indubbiamente sembra conoscere bene le donne. Anche quando sarà diventato, dopo Luis Buñuel e Carlos Saura, il regista spagnolo più celebre e stimato, mostrerà di prediligere l’universo femminile, forse perchè, come lui stesso dichiara, ‘per me l’origine della finzione, del teatro, dello spettacolo è vedere più di due donne che stanno parlando. Questo è lo spettacolo.’

Nel 1980 dirige il suo primo vero film (girato in 16 mm e poi ‘gonfiato’ a 35) Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio (1979-1980), cominciando a regalare fortuna e fama a quelle che saranno le grandi dive del cinema spagnolo: Carmen Maura, Cecilia Roth e Julieta Serrano.

Esordio pepato per Almodovar in questa suo primo film volutamente ribaldo e se vogliamo anche volgare nello stile del cinema underground newyorkese, vuoi Warhol o Morrissey o Waters. Una presa in giro completa del perbenismo, uno sfogo post-franchista. Si trovano molti dei temi di Almodovar che però non saranno mai così espliciti nei lungometraggi successivi.

Pepi è una ragazza indipendente e disinibita della Madrid post franchista che, scoperta dal suo dirimpettaio per le sue piante di marjuana, si offre sessualmente in cambio del silenzio. Il poliziotto in borghese accetta l’offerta e la deflora. Pepi per il danno economico subito ( intendeva vendere la sua verginità) progetta di vendicarsi. Il pestaggio del poliziotto non va come previsto e quindi adesca Luci, la moglie quarantenne e frustrata. La presenta a Bom, sedicenne rockettara tragressiva; tra le due parte subito una relazione lesbo-feticista-sadomaso. Luci lascia casa e marito per Bom e si integra nel suo mondo di festini, trasgressioni sessuali, droga e rock’n Roll. Infine lui la riprende soddisfando finalmente le sue voglie.

 
 

Il film desta grande scandalo al Festival di San Sabastian ma gli consente di ottenere i capitali per realizzare il suo secondo lungometraggio Labirinto di passioni (1982), una delle sue commedie preferite, dove descrive l’ambiente, ‘la movida’, di Madrid all’inizio degli anni ’80.In questo caso più che estro c’è divertimento fine a se stesso. Tutto parte con Sexilia in cerca di maschi e Riza Niro, un gay intento a cercare la stessa cosa. Ognuno dei due incontra altre persone e via via lo spettatore si inoltra appunto in un labirinto. I due personaggi poi si innamoreranno.

 
 

Donne, sotto tuniche monacali per L’indiscreto fascino del peccato (1983), presentato al Festival di Venezia che lo impone subito all’attenzione del pubblico internazionale. Divertente e iconoclasta, l’opera giovanile di Almodóvar, si distingue prevalentemente per l’estetica kitsch e per il ritratto irriverente che fa della religione istituzionalizzata. Spiazza lo spettatore dipingendo una variopinta e dissacrante comunità di monache, a modo loro pie e votate al prossimo (per comprendere i peccatori, devono conoscere il peccato), senza dimenticare il suo tocco mélo; le suore peccatrici sono soprattutto profondamente umane e bruciano di sentimenti e passioni vere.

Dopo la morte del suo compagno per overdose, Yolanda, una cantante, si rifugia nel convento delle “Redentrici Umiliate” per sfuggire alle indagini. Le suore che vi risiedono sono dedite alle più disparate attività: Suor Pantegana scrive romanzi strappalacrime, Suor Serpe disegna e cuce abiti sgargianti e ispirati alla Haute Couture per le statue dei santi che popolano il convento, Suor Perduta alleva una tigre, Suor Sterco è autolesionista e quasi sempre fatta di LSD, che le provoca “visioni divine”. 220px-Entre_TinieblasInfine, la Madre Superiora è lesbica, eroinomane ed evidentemente attratta da Yolanda. Quando la benefattrice del convento minaccia di tagliare i fondi necessari al suo mantenimento, le suore organizzano un concerto in onore della benefattrice con l’aiuto di Yolanda, evento che avrà però risultati tragicomici.

 
 

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