Glamour: la percezione del fascino (Catherine Deneuve)

 Catherine Deneuve

 

Catherine Fabienne Dorléac è il suo vero nome. Figlia d’arte è nata a Parigi il 22/10/1943. Il padre è l’attore di teatro Maurice Dorléac, meglio conosciuto come Maurice Teynac e la madre, anch’essa attrice di teatro, è Renée Deneuve.
Appena debuttante assunse il cognome della madre, Deneuve, lasciando quello paterno, Dorléac, alla sorella maggiore Françoise, anch’essa attrice, morta in un tragico incidente automobilistico nel giugno del 1967.
Fredda, bellissima e misteriosa sono i tre aggettivi che meglio identificano la più grande attrice francese vivente, ed esprimono i tratti più salienti del suo fascino, col quale riesce a far innamorare di sè il pubblico di tutto il mondo e i registi più famosi del panorama cinematografico internazionale.
Un fascino superbo e misterioso, quasi enigmatico, che il regista Roger Vadim seppe intuire e valorizzare, quando, ancora giovanissima diciannovenne, le affidò il ruolo di Justine ne “IL VIZIO E LA VIRTU'”, a significare l’ingenuità maliziosa, la purezza con una sottile attrazione verso il peccato.
Il film servì a rivelare la bellezza fragile e il talento innato della giovane attrice, e ad evidenziarne la fredda ambiguità, che costituirà la costante prevalente della prima parte della sua carriera. Anche se non lo sposerà mai, l’incontro con il talentoso Vadim coinvolse sentimentalmente la giovanissima Catherine, tanto che, nel 1963 venne alla luce Christian, il suo primo figlio, frutto della relazione sentimentale col vulcanico regista, che durò quattro anni.
Il successo le arrise nel 1964 ancora con un musical di Jacques Demy, “LE PARAPLUIES DE CHERBOURG”, accanto al giovane attore italiano Nino Castelnuovo; e con il successivo “REPULSION”, di Roman Polanski.
Ma è il grande Louis Buñuel che la lancia a livello internazionale, cucendo addosso alla sua fredda bellezza il nevrotico e sensuale personaggio di Severine in “BELLA DI GIORNO”, moglie insoddisfatta e prigioniera di un’educazione cattolica repressiva, che si prostituisce di giorno, per il piacere di sentirsi libera e dare sfogo alle sue fantasie erotiche.
Rifiutato a Cannes perchè ‘mancante di spessore artistico’, ma Leone d’oro a Venezia, il film dà alla giovane attrice la possibilità di cominciare a costruire il suo personaggio, ambiguamente doppio, che caratterizzerà la maggior parte della sua cariera artistica.
Conquistata la fama internazionale, Catherine diventa l’interprete ideale dei personaggi creati apposta per lei da alcuni dei più grandi nomi sia della cinematografia francese che internazionale.
É la bohémienne di “LA CHAMADE”, di Alain Cavalier, tratto da Françoise Sagan, la compiacente nobildonna di “BENJAMIN”, di Michel Deville, la giovane amante dell’imperatore Francesco Giuseppe di “MAYERLING”, di Terence Young, la cortigiana di “MANON 70”, di Jean Aurel.
La ritroviamo avida e sensuale in “LA MIA DROGA SI CHIAMA JULIE”, di François Truffaut, in cui perfeziona il personaggio che Buñuel le ha appena abbozzato.
Dopo “SENTO CHE MI STA SUCCEDENDO QUALCOSA”, di Stuart Rosemberg, e “LA FAVOLOSA STORIA DI PELLE D’ASINO”, di Jacques Demy, tocca ancora a Buñuel con il film “TRISTANA” scavare nell’enigmaticità del personaggio Denevue.
Due lavori, “TEMPO D’AMORE”, di Nadine Trintignant (ricordato anche perchè sul set avviene il primo incontro tra la Deneuve e Mastroianni) e “NOTTE SULLA CITTÀ”, di Jean-Pierre Melville, la separano dalla provocatoria, sbeffeggiante, lucida, discussa opera di Marco Ferreri, “LA CAGNA”, in cui si ritrova al fianco di MARCELLO MASTROIANNI, un disegnatore di fumetti che, abbandonato la famiglia, vive con un cane su un’isola deserta della Corsica. Lo sbarco di una donna che uccide il cane per gelosia e ne prende il posto, sconvolge la serenità dell’uomo e acuisce l’incomunicabilità tra i due.
Durante la lavorazione di questo film divampa la passione tra la diva francese e l’attore italiano.
Catherine abbandona il marito, David Bailey, un fotografo inglese sposato nel 1965 e inizia un lungo, chiacchierato legame con Mastroianni (che era già sposato) che durerà fino al 1974, e da cui nel 1972 avrà la seconda figlia, Chiara Mastroianni.
Con il passare degli anni la bellezza di Catherine si matura, si fa più dolce e più quieta, ma continua a muoversi, sullo schermo e nella vita, con sicurezza aristocratica, che molti, a torto, scambiano per alterigia.
Interpreta “NIENTE DI GRAVE, SUO MARITO È INCINTO”, una commedia grottesca di Jacques Demy, ancora assieme a Mastroianni; poi “DUE PROSTITUTE A PIGALLE”, di László Szabó.
Nel 1974 è in Italia per recitare, sotto la direzione di Mauro Bolognini, “FATTI DI GENTE PERBENE”.
Poi è ancora Marco Ferreri a dirigerla nel paradossale e grottesco “NON TOCCARE LA DONNA BIANCA”.
Nel maldestro tentativo di imitare suo padre ci prova anche il figlio di Buñuel, Juan Louis, a dirigerla nel mediocre “LA RAGAZZA CON GLI STIVALI ROSSI”, prima che la Deneuve fosse chiamata a Hollywood, dove Robert Aldrich le da il ruolo di una prostituta che ha una storia d’amore con Burt Reynolds, nel dignitoso, ma poco esaltante poliziesco “UN GIOCO ESTREMEMENTE PERICOLOSO”.
Molto meglio la sua Parigi, la Parigi dell’occupazione nazista, dove Catherine sfoggia una delle sue performance migliori (premio Cesar come miglior attrice), quella Marion Steine de “L’ULTIMO METRO'”, di François Truffaut. La sua classe risplende anche in “CHISSÀ SE LO RIFAREI ANCORA”, di Claude Lelouch e in “CASOTTO” di Sergio Citti. Anche in “ANIMA PERSA”, di Dino Risi, tratto dal romanzo omonimo di Giovanni Arpino, riesce a dare spessore al ruolo della moglie succube di un multiforme Vittorio Gassman.
Per contro risultano poco convincenti le successive prove in “LA BANDERA – MARCIA O MUORI”, di Dick Richards e in “PERSUASIONE OCCULTA” dell’argentino in esilio Hugo Santiago, in cui interpreta il ruolo di una improbabile investigatrice privata.
Gli ultimi lavori degli anni ’70, “I SOLDI DEGLI ALTRI”, di Christian de Chalonge, “CORAGGIO SCAPPIAMO”, di Yves Robert e “A NOI DUE”, di Claude Berri e Claude Lelouche sono o troppo esili o non si elevano dalla media dei film di routine, e fanno ristagnare la sua carriera.
Negli anni ’80 lavora sempre moltissimo. Dopo quel capolavoro di recitazione che sfoggia ne “L’ULTIMO METRO'”, la ritroviamo nei meno incisivi “VI AMO”, di Claude Berré, “HÔTEL DES AMÈRIQUES”, di André Téchiné, “CODICE D’ONORE”, di Alain Corneau, in cui lavora accanto a Yves Montand, “IL BERSAGLIO”, di Robin Davis, con Alain Delon, e “VACANZE AFRICANE”, di Philippe de Broca.
Fa poi un’incursione in un genere non suo, l’horror erotico-vampiresco di “MIRIAM SI SVEGLIA A MEZZANOTTE”, di Tony Scott.
Altrettanto notevole si dimostra nel gineceo di “SPERIAMO CHE SIA FEMMINA”, di Mario Moniceli, che rinverdisce gli allori della commedia all’italiana.
Affronta un laboriosissimo nuovo decennio guadagnandosi subito la sua unica candidatura agli Oscar, e il suo secondo Cesar, con “INDOCINA”, di Régis Wargnier.
Un doppio ruolo lo sostiene nel complesso e cerebrale “GENEALOGIA DI UN CRIMINE”, di Raoul Ruiz.
Nel 1998 conquista a Venezia la Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile nel noir “PLACE VENDÔM”, di Nicole Garcia. Subito dopo, però, incappa nell’inatteso e bruciante flop di “POLA X”, di Léos Carax, fischiatissimo a Cannes ’99, in cui sfiora il ridico in alcune inutili sequenze hard.
Ma la sua classe risorge prontamente e, ormai ultracinquantenne, si rituffa nel lavoro e si permette di fare la suocera seduttiva in “BELLE MAMAN”, di Gabriel Aglion.
Nutrito di impegni il 1999, oltre che nei titoli citati la Deneuve è protagonista di altri lavori, tra i quali è da ricordare il drammatico “IL TEMPO RITROVATO”, di Raoul Ruiz, tratto da “Il tempo ritrovato” di Marcel Proust.
Dopo essere rinmasta folgorata dalla visione de “LE ONDE DEL DESTINO”, scrive una lettera al regista Lars von Trier per dimostrargli tutta la sua stima e per chiedergli un ruolo nel suo prossimo film.
Il cineasta danese l’accontenta subito e le assegna il personaggio di Cathy, in “DANCER IN THE DARK”, un musical lacrimevole con la cantante islandese Björk, presentato a Cannes 2000 e vincitore della Palma d’oro.
Nel 2001 è la regina Anna in “D’ARTAGNAN”, di Peter Hyams, ultimo adattamento, in ordine di tempo, e primo del nuovo millennio, del popolarissimo romanzo di Alessandro Dumas padre; poi è ancora una regina in “POLLICINO”, di Olivier Dahn, dalla favola di Charles Perrault.
Un altro picco nella sua lunga e prestigiosa carriera lo tocca con la partecipazione allo struggente e melanconico “RITORNO A CASA”, dell’ultra novantenne regista portoghese Manoel de Oliveira.
Nel 2002 ritroviamo la classe di Catherine Deneuve nel cast al femminile di “8 DONNE E UN MISTERO”, di François Ozon.
Nel 2003 torna sotto la direzione del grande portoghese Manoel de Oliveira che, in “UN FILM PARLATO”, le fa interpretare il ruolo di una donna d’affari.
L’anno successivo è André Téchiné che la scrittura per il ruolo di Cecile ne “I TEMPI CHE CAMBIANO”.
Nel 2006 alla 1a Festa del cinema di Roma, è stata applaudita interprete di “LE CONCILE DE PIERRE”, di Guillaume Nicloux, in cui, ambigua ed enigmatica, insieme ad un ricercatore russo, accompagna Monica Bellucci alla ricerca del figlioletto adottivo misteriosamente scomparso.
Nel 1986, in occasione del bicentenario della Repubblica francese, Catherine vine scelta per sostituire Brigitte Bardot, come Marianne, il simbolo della Repubblica transalpina.
Nel 1987, sbaragliando avversarie molto più giovani di lei, la quarantatreenne Catherine Deneuve viene proclamata da un sondaggio la donna più sexy di Francia.
Ha vinto due premi Cesar: il primo per “L’ULTIMO METRO'”, il secondo per “INDOCINA”. Nel 1998 ha vinto la Coppa Volpi a Venezie per il film “PLACE VENDOM”. Non ha mai smentito le voci circa un suo presunto legame sentimantale con il regista François Truffaut, nato durante la lavorazione de “L’ULTIMO METRO'”.

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